(Perverse) dinamiche di gruppo

Ero in una relazione perversa.

Ero in una relazione che mi faceva star male quasi ogni giorno. Ero in una relazione nella quale credevo di essere me stessa ma per qualche strano motivo risultavo essere me stessa alla decima. E quel fattore esponenziale, sul quale non avevo potere, mi faceva star male.
Si trattava di una relazione di gruppo, e come tutte le relazioni di gruppo risponde a delle caratteristiche. In quel gruppo avevo assunto un ruolo, inizialmente necessario per il funzionamento del gruppo stesso e infatti di successo; ma col passare del tempo mi ero avvitata su di esso, comportandomi alternativamente come capo autoritario o peggio, autocratico. Non un gran piacere frequentarmi. Non ero cosi’ sempre, ovviamente: accadeva pero’ che nel gruppo ci fosse una sorta di faro che illuminava solo quei comportamenti di me alla decima, lasciando nel buio tutti gli altri che invece erano volti alla cooperazione e alla propositivita’, probabilmente ormai ritenuti come dovuti, o risarcitori.

Accadde poi che uno dei membri del gruppo, dopo uno scontro aspro con me, si ritira nel silenzio rifiutando qualsiasi chiarimento successivo. Al gruppo e’ ormai chiaro che non sono in grado di comunicare e assume con me atteggiamenti che oscillano nell’area dell’evitamento, sia in modo diretto che indiretto, ad esempio dandomi sempre ragione e vanificando ogni dialogo. Divento il capro espiatorio, non nel senso banalmente comune del termine, ma quello su cui si riversa l’aggressivita’ del gruppo, come ben descritto in questo articolo. Io sono l’elemento negativo del gruppo su cui si concentrano le critiche e che ne impedisce il pieno funzionamento.

Era terribile. Assistevo impotente su me stessa quello che avevo sempre osservato nelle classi: ad uno dei membri, sulla base di sue caratteristiche personali – fisiche o psicologiche -, viene assegnato un ruolo negativo. E per quanto la persona si sforzi di migliorare le cose, di sembrare differente, efficiente, intelligente, simpatico, di cambiare le carte in tavola o alla peggio di ignorare quello che sta accadendo, non ci riesce. Non riesce perche’ il capro espiatorio e’ necessario alla sopravvivenza del gruppo, esattamente come il leader o il clown.
Nel mio caso pero’ il capro espiatorio si sommava all’essere il leader negativo. Qualcun altra, con migliori capacita’ relazionali ma comunicazione meno diretta era automaticamente diventata il leader positivo, e contrapporci era un attimo.

Esattamente come nel mio lavoro con le classi di scuola media, quando iniziai a rendermi conto della china che stavano prendendo le relazioni era gia’ tardi. Mi e’ stato impossibile retrocedere dal ruolo assunto e assegnato, perche’ il gruppo sapeva rispondere solo alla modalita’ relazionale di me alla decima, pur essendo le singole relazioni normali. Ma un gruppo e’ piu’ della semplice somma dei suoi membri, come diceva Lewin.

Lo specchio deformante non si realizzava con tutti i membri del gruppo, certamente, ma con molti. Il passato di me alla prima non esisteva piu’, c’era solo il presente di me alla decima, con tutti i miei difetti amplificati e gli errori commessi.

In un gioco perverso le persone hanno iniziato a rispondere considerando in maniera negativa qualsiasi azione compiessi, generando in me frustrazione, e se nel tentativo di difendermi provavo a mostrare l’altra faccia della medaglia, cioe’ l’azione positiva che invece era stata fraintesa, ottenevo solo un effetto paradossale: sembrava che tentassi di mascherare quella che invece era nata come un’intenzione negativa.

Mi sentivo messa all’angolo. Impossibilitata a rispondere, a far valere le mie ragioni, avevo provato ad andare avanti lo stesso. Ma la risposta del gruppo restava univoca. Sentivo la tensione su di me e mi sentivo attivamente ignorata. Un feroce episodio derivante da un fraintendimento con quello considerato il leader positivo scateno’ ulteriormente la mia rabbia e la rabbia del gruppo contro di me. Cercai appiglio sugli altri e non trovai quasi nessuno: anche se solo poche persone avevano assistito al fatto, venni immediatamente identificata come responsabile, aggravata dal fatto che mi ero espressa con violenza verbale (“mavaccagare“). Molti membri del gruppo erano ormai nauseati dal continuo conflitto e nemmeno intervenivano piu’, restando spettatori passivi. Provai a scusarmi e a confrontarmi pubblicamente con tutti. Silenzio. Provai ad andarmene, mi pentii, tornai indietro, mi ritrovai esattamente allo stesso punto.

Sola.

Sola soprattutto perche’ qualcuno inizio’ a comportarsi esattamente come qualcun’altra aveva gia’ fatto in passato, non rispondendo alle mie domande, lasciandomi parlare da sola, trasparente. Non esistevo. Chiedevo, non avevo risposte. Urlavo di rispondermi, mi veniva detto che stavo immaginando tutto e che nessuno era contro di me. Un incubo.

Prima fase: nel gruppo nascono le prime tensioni, tuttavia il senso di unità resiste finché le forme di aggressività tra i membri non vengono manifestate.
Seconda fase: comincia a crearsi una sorta di frattura invisibile. Le tensioni cominciano a non essere più governate, le prime forme di aggressività si manifestano. La manifestazione dell’aggressività è convogliata su una sola persona sulla quale vengono fatte ricadere tutte le responsabilità.
Terza fase: la vittima è stata designata, al malcapitato non restano che due alternative. La prima è rifiutare il tipo di relazione cui è stato sottoposto e uscire dal gruppo. Il gruppo a questo punto entrerà in crisi perché non ha più l’elemento di coesione. L’altra possibilità per il designato è di accettare le regole del gioco. Questa soluzione è di fatto patologica perché l’equilibrio che ne deriva è comunque precario.
da Comunicare con il gruppo.

L’epilogo si consuma dopo un brevissimo periodo e a seguito di un pretesto. Una mia frase viene completamente stravolta nel significato e attribuita di malvagita’. Il confronto pubblico ha di nuovo le stesse caratteristiche, con molti accusatori, qualche spettatore e un paio di difensori, che pero’ sono considerate plagiate da me. Vengono riportate a galla vecchie storie, modificate mie parole appena espresse, trovate, di nuovo, intenzioni malvagie. Mi viene detto che il mio contributo e’ inutile, che non ho fatto nulla. Stavolta non perdo la calma e cerco di dialogare, mi dico pure, tra me e me, che sono stata brava, che non posso essere accusata di niente, ne’ per aver veramente detto quello di cui mi si accusa, ne’ per aver insultato qualcuno. Anzi, sono loro che mi hanno insultata. Le accuse che mi vengono rivolte sono smontate ma non ricevo scuse. Niente mi e’ dovuto, anzi, viene esplicitamente detto che devo andar via. Resisto, mi aggrappo.

La scorsa notte leggo un paio di post molto belli che mi illuminano improvvisamente sul passato. In uno di questi l’autrice scrive:

E se provassi ad analizzare tutto quanto mi appesantisce l’animo e le giornate e non provassi a buttare via tutto? E’ più facile con gli armadi, devo ammetterlo: innanzi tutto individuare quali siano le cose – o le persone – che ti ingolfano l’animo e l’esistenza non è semplice. E poi non è facile abdicare a certi comportamenti, certi pensieri automatici e rinunciare per sempre ai sensi di colpa.

E’ stata una provocazione delle altre a risolvere poi le cose per me. Uno strappo violento che ancora una volta mi isolava dal gruppo. Mi dissi che non era piu’ tollerabile, che non avevano piu’ il diritto di farmi sentire come non ero, che non potevo piu’ permettere loro di comportarsi in questo modo, da bulle. La mia dignita’ e la mia autostima sono piu’ importanti di un gruppo malato, malato anche a causa mia, ma nel quale ormai non avevo piu’ alcun potere. Agisco. Decluttero.

Fuori dal gruppo.Elimino relazioni, chiudo contatti. E mi sento libera. Triste, ma libera.

Cosi’ tanto libera e cosi’ tanto sollevata dai lacci da capire immediatamente di aver fatto la scelta giusta.

Come nel post di Dalia:

Eliminare il superfluo significa imparare a scegliere. Rimettere gli oggetti (anche del passato) al loro posto nel presente, è un atto di una forza e di una potenza incredibili.

Non ho commesso un atto di rabbia. Sono uscita da quel gruppo serena, abbastanza, sicuramente consapevole che le persone non si possono cambiare e che ad un certo punto bisogna accettare quello che sta succedendo, e lasciare andare. Let it go.

goodbye

“Yes I’m alone, but I’m alone and free. Just stay away, you’ll be safe from me.”


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42 commenti

  1. Mi è capitata la stessa cosa, nella stessa modalità, nello stesso periodo, nello stesso frustrante modo. Ed ho reagito declutterando (a fatica, e mi è costato moltissimo), annullando, cancellando. Tutto uguale. Cambia solo il continente 😀

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  2. Non faccio in tempo a farti i complimenti per il colloquio di lavoro che mi trovo a farti i complimenti per la lucidità con cui ha scritto questo post e per la forza di troncare/tagliare/ripartire. Ma che ti fermi un momento, eh? Che ora faccio fatica a correre! ❤

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  3. Mi spiace che le cose siano andate così… Nonostante non sia stata coinvolta nella questione, mi è spiaciuto lo stesso vederti andare via. Penso proprio che gruppi come il nostro e come tanti altri siano sempre un po’ difficili da gestire: rapportarsi a distanza, attraverso lo schermo di un telefono, senza possibilità di spiegarsi di persona, non sono mai presupposti per una relazione facile e felice. In ogni modo, se tagliare ti ha fatto bene, allora è stata la scelta migliore!

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  4. non c’ero, qundi non so e non posso dire nulla

    pero’ di una cosa sono sempre piu’ convinta: che i fraintendimenti senza la parola parlata e senza guardarsi negli occhi sono molto piu’ facili, e a volte si offende senza nemmeno rendersene conto… anche io l’ho fatto in passato, inconsapevolmente, e purtroppo so che lo rifaro’… non con cattiveria, ma capita {.. ciao jack…}

    cmq se questo ti fa stare piu’ serena, hai fatto bene…. relazioni nascono, relazioni finiscono… mi piacerebbe pero’ che nessuno portasse mai rancore 😦

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    • Per quel poco che ci conosciamo credo tu sappia che non sono una che porta rancore, e che non cancello amicizie, e che cerco sempre il dialogo. A volte sono io a dire cose sgradevoli, a volte sono gli altri, e se mi capita di risentirmi cerco sempre di chiarire. Una cosa del genere e con questa violenza non mi era mai successa, e il peggio e’ che assistevo impotente all’involuzione senza che potessi fare nulla per cambiare le cose. Terribile.

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  5. leggendo il tuo post mi sono resa conto che ho provato interesse per il decluttering di cui parlavi perché ho vissuto un’esperienza simile, in altro contesto. E la mia conclusione è stata analoga. Ho lasciato il gruppo. Per mia scelta e senza rimpianti. Nonostante la fatica che comporta dover ricostruire.
    Un abbraccio!

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  6. Ho letto anche i commenti e mi pare di aver capito che so tratti di relazioni a distanza (oltre alle dinamiche del gruppo in sé). Questo mi coinvolge molto, é successo varie volte purtroppo, alla fine ho imparato a uscire in silenzio senza nemmeno rispondere alle cattiverie che immancabilmente hanno tentato di mettermi addosso. La cosa veramente brutta é che a volte riescono a convincerti di essere quella che descrivono. Nel mio caso sono stata tacciata di insensibilità e maliziosa cattiveria, cose che (a freddo, a distanza di tempo) capisco non appartenermi. Non mi piacciono i gruppi, li evito come la peste. E purtroppo inizio ad allontanarmi anche dal virtuale, o per lo meno cerco di non lasciarmi coinvolgere troppo emotivamente. Brutto ma necessario, per tutelare me e forse per tutelare anche gli altri.
    Mi spiace che anche tu ti sia trovata in questa situazione ma… viva la libertà a un certo punto!

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  7. Un anno fa mi è successa la stessa cosa. Dinamiche famigliari, più difficili da strappare ed estirpare. Una sofferenza indicibile, ma necessaria. Necessaria per me, perchè, nonostante dessi spiegazioni per non essere fraintesa, lo sono stata lo stesso e allora ho capito che non sarebbe servito a nulla mantenere i rapporti, il dubbio di essere sempre fraintesa, mal interpretata sarebbe rimasto, sempre. Quando ci si incanala in un tunnel, difficilmente se ne esce, anche retrocedendo.
    Io i riferimenti a Frozen non li ho colti, si vede che son mamma di figli maschi!!!!

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    • Questa cosa succede in quasi tutti I gruppi anche se non esattamente in questo modo. Come in una relazione di coppia, dipende dall’incontro tra le caratteristiche del singolo e degli altri membri.

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  8. Interessantissimo. Ma quindi secondo te questa figura di capro espiatorio è “fisiologica” (o diciamo comune, spererei non necessaria?) in ogni gruppo?
    Come si fa a difendere ogni componente dal rischio di diventarlo? Suppongo che stia al leader vegliare a che non accada? Io mentre leggevo mi figuravo gruppi “obbligati” diciamo di lavoro, dove il leader è una persona chiaramente definita e designata (e retribuita per esserlo!) Ma non è la stessa situazione di cui parli tu, mi sa. Purtroppo le conosco entrambe, sul lavoro e fuori, per esempio in famiglia. In famiglia lasciamo perdere che capire i meccanismi mi prenderà ancora anni di analisi, temo… sul lavoro e (per fortuna sempre più raramente) altrove le mie difficoltà personali fanno gioco forza (o dovrei dire debolezza) per farmi assumere quel ruolo. Tu però debole non mi pari affatto! E c’hai anche un paio di “palle” così e molte risorse in più.

    A questa storia dei capri espiatori nel gruppo ci penso molto spesso e non mi do pace. ..

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    • Eh, Squa, ne sai tanto, sai? Si, figura quasi sempre presente anche se non sempre con questa violenza, necessaria a convogliare l’aggressivita’ del gruppo. Se il leader e’ un buon leader e si, sorveglia,, l’aggressivita’ (presente sempre) viene elaborata in modo positivo. Questo in un gruppo strutturato con un capo designato e ruoli definiti. Nel caso di gruppi informali, il leader non e’ nominato ma emerge automaticamente per caratteristiche proprie, e I ruoli degli altri sono tutti allo stesso livello, cambia solo la distanza dal leader. Il capro espiatorio non e’ sempre la persona piu’ indifesa, spesso, come dice l’articolo, e’ quella che dice le cose sgradevoli che tutti pensano ma che nessuno ha il coraggio di dire, e che in una specie di proiezione collettiva per questo viene tacciato di aggressivita’. A me e’ successo questo, e anzi, in piu’ di un episodio il leader innescava la miccia dell’insinuazione rivoltando una mia frase o additando una persona di qualcosa, e poi restavo io da sola ad affrontare quello che succedeva. E la colpa era la mia, anche nella memoria collettiva ero la rissosa. Che di base e’ sicuramente vero, ma spesso sono stata messa in mezzo.
      Poi sulle risorse, si, e per questo me ne sono andata in quel modo. Scusa lo sproloquio.

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      • Ma anzi con piacere! Piuttosto chiedo scusa io, chè nel mio commento sopra la punteggiatura è andata in vacanza. … (già normalmente…se poi aggiungi combinazione smartphone e insonnia da probabile virus intestinale…. ciao proprio! )

        Eh, più che saperne subisco e infliggo i miei errori nei gruppi sociali che m’hanno da sopporta’, me ne rendo conto. .. ora che riconosco meglio il problema e voglio che le cose cambino, nisba!

        Ma quindi si può dire che un gruppo con un leader “cattivo” (cattiva fede, con problemi suoi, poco lungimirante, incapace proprio in termini di intelligente emotiva e sociale) ha più probabilità di designare un capro espiatorio ? Dai però dimmi che questo non è un meccanismo obbligato! E che è reversibile. Che non è indispensabile la rinuncia. No perché altrimenti devo seriamente pensare di cambiare lavoro. Invece mi sto armando di santissima pazienza e però incassando tanta di quella amarezza….
        A diffenza di te resto molto presente alle mie modalità negative precedenti e quindi comprendo e incasso ogni nuovo comportamento antipatico che mi torna indietro. .. ma non si può incassare per sempre. E sopratutto devo riconoscere che mi sono ritrovata molte e troppe volte contro “questo muro”… se mi fanno quel che mi fanno è perché glielo lascio fare, ahimè.
        Vorrei leggere qualcosa sull’argomento che possa aiutare anche solo a formalizzare la cosa per una maggiore consapevolezza, hai suggerimenti?

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        • L’evoluzione di un gruppo e’ veramente molto soggettiva, dipende da tanti fattori e generalmente la soluzione e’ adattata al singolo gruppo, diverso da qualsiasi altro. Magari in un altro gruppo una situazione come quella che descrivi la rabbia e’ rivolta verso il capo, capita spesso se ci pensi. Piu’ tardi provo a cercare qualcosa, non sono una psicologa sociale ma qualche articolo si trovera’ senz’altro. Bacio, Squa.

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  9. Innanzi tutto sono lusingata dalla citazione e felice di avere contribuito a farti fare il “clic” che ti serviva.
    E poi questo articolo è stato per me una specie di rivelazione: ho vissuto una situazione analoga e sto cercando di mettere insieme i pezzi con l’aiuto proprio del tuo articolo e degli approfondimenti che suggerisci.
    Capire è qualcosa che mi solleva sempre, molto più che decluttering!
    Andrò avanti a “studiare” per capire. Se passi articoli a Squa passali anche a me!!

    (che fra l’altro abbiamo la riunione di condominio fra 15 gionri e magari arrivo più preparata! 😛 )

    Grazie e brava!

    S

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  10. Leggendo il tuo post ho avuto un flashback, mi sono rivista al liceo, dove la mia timidezza che sconfinava nella scontrosità mi aveva fatto guadagnare il ruolo di capro espiatorio. Questa storia delle dinamiche di gruppo l’avevo poi riscontrata nelle esperienze di persone a me vicine, ma che fosse così sistematizzata l’ho scoperta solo tempo dopo, quando ho letto gli articoli di alcuni psicologi che trattavano proprio di questo argomento. Quasi da non crederci come gli schemi possano essere così simili e ripetersi in contesti così diversi tra loro. Che sollievo quando finalmente la scuola finì!! Poi all’università andò enormemente meglio, sia perchè lavorai su me stessa per smussare un po’ gli angoli del mio carattere, sia perchè feci attenzione a coltivare amicizie senza farmi inglobare in nessun gruppo. Sì, perchè non avevo più voglia di rivivere le stesse cose, anche magari cambiando ruolo all’interno. I gruppi non mi piacciono proprio, la persona singola perde la sua identità e si plasma a seconda del ruolo richiesto. Scusa per il linguaggio non propriamente scientifico, volevo riportare la mia esperienza con le opinioni derivanti di conseguenza 🙂

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    • Hai detto cose esatte. L’unico aspetto su cui penso di poterti dare torto e’ che cambiando il gruppo cambiano le dinamiche, quindi magari all’universita’ avrebbe potuto essere diverso. Ma comprendo bene la scottatura. Grazie per il tuo commento!

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  11. […] Se solo fossi piu’ di sinistra, o piu’ femminista, avrei le simpatie di tante. Dovrei saper strizzare l’occhio a certe categorie e ad esempio scrivere di maternita’, e invece io dico che e’ noiosissimo e che e’ come la casta degli psicoterapeuti che alimenta le scuole di specializzazione e viceversa. Il mio voler considerare costantemente tutte e due le facce della medaglia, retaggio professionale ma non solo, mi rende sempre un equilibrio precario. Le persone solitamente apprezzano a pelle il mio essere schietta, che non e’ mai un insulto, mai. Lo apprezzano perche’ sono quella che di solito parla a voce alta di quello che pensa e questo sembra a tutte molto figo, molto di sinistra, molto libero, fino a quando non sono loro ad essere oggetto della critica. Allora divento scomoda. E aggressiva. Perche’ ovviamente e’ cosi’, capita pure che mi accanisca a voler mostrare il mio punto di vista, ma io sono un uomo, a me poi mi passa, mi sfogo li’ e ciao, terzo tempo, andiamoci a fare una birra. Le donne no, giammai. Le donne italiane non bisogna contraddirle e ti evitano come la peste. Perche’ parlarne, mai. […]

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