Vita in seconda classe: Miami, città santuario

Si chiama Claudia, in omaggio alla Cardinale. I suoi nonni sono emigrati dal Sud Italia negli anni ’60, la mamma e’ cresciuta in Argentina e ora nessuno più parla italiano. Lei un po’ lo capisce.

Quando aveva 3 mesi i suoi genitori si sono trasferiti in USA, dove poi si sono separati. La mamma e’ tornata in Argentina, il papa’ e’ morto e le cose in famiglia devono aver iniziato ad andare male, tanto che lei ha perso i contatti anche col fratello. Eravamo a pranzo insieme quando ha ricevuto la notizia che la nonna paterna aveva ottenuto il visto turistico per visitare gli Usa – gli accordi tra gli Stati Uniti e il sud America non sono morbidi come per l’Italia – ed e’ scoppiata a piangere.

Mi dice che quando la mamma decise di rientrare nel suo paese lei aveva quasi 20 anni e sarebbe rimasta a Miami senza nessuno accanto. Ero nel panico, mi dice, ero completamente sola e non sapevo come avrei dovuto organizzare la mia vita.  Poi succede che lei incontra un connazionale, si sposano, lui ottiene la residenza e scompare nel nulla con i loro pochi soldi, lasciandole un mucchio di problemi burocratici da risolvere e una macchina di seconda mano che avevano comprato.

Poi c’e’ la mia nuova amica cubana. Ha 10 anni meno di me, e’ cresciuta sull’isola dove usavano panni come assorbenti, da lavare ogni sera e appendere al filo. A vent’anni i genitori l’hanno messa su un aereo, ha lavorato per due anni tra Bolivia e Brasile e poi e’ arrivata a Miami dove ha chiesto asilo politico.

Sapete che l’Italia e’ un paese ricco?

Quante volte avete sentito di situazioni di povertà, di disagio, di estrema solitudine?
Da quando sono qui sento principalmente racconti di passati drammatici, simili a quelli che a Roma ascoltavo solo dagli immigrati dalla Romania o dal Peru. Figli lasciati da soli in patria oppure portati in America appena decenni, cresciuti da ignoti connazionali o lontani parenti, genitori socialmente isolati, alcolizzati e violenti, a volte povertà’ estrema. Noi italiani siamo abituati ad avere le famiglie vicino, storicamente non ci allontaniamo troppo dai nuclei di origine, che garantiscono anche un benessere più materiale. Siamo mediamente un popolo che studia o che riesce ad avere un lavoro dopo le scuole dell’obbligo.

Lo so che non siete d’accordo

Lo so che in questo momento la situazione e’ nera, e lo so che non tutti gli Italiani che arrivano qui hanno viaggiato in prima classe nella vita. Credo che le storie di molti immigrati siano simili, indipendentemente dal loro paese di provenienza. Sicuramente la nostra immigrazione del dopoguerra veniva da realtà come quelle descritte. Ma noi abbiamo indubbiamente una ricchezza socioculturale superiore.

Quella che si vede qui a Miami e’ un’immigrazione che arriva da paesi disperati, dove non ci sono acqua, fognature, servizi per centinaia di chilometri. Dove ci sono narcotrafficanti che uccidono senza pietà, dove la scolarizzazione e’ bassissima se non assente, dove la qualità della vita e’ inesistente, dove ci sono dittature e crisi economiche decennali, se no non si spiega perché cercano tutti di scappare e venire qua. Come quella amica che ci raccontava che la sua bambina appena nata veniva cullata dalle scimmie. Molto pittoresco, ma se ci rifletti cosa ti viene in mente? E non li biasimi quando ti raccontano in che modo illegale hanno passato il confine, di notte, in mare, col pericolo di essere divorati dagli squali o sparati dagli ufficiali di frontiera a cui magari hanno lasciato una tangente perché non vedessero.

Ci sono quelli che non arrivano qui viaggiando in economy

Noi siamo fortunati. Gli accordi tra Italia e Stati Uniti prevedono che si possa venire in vacanza fino a tre mesi compilando un modulo comodamente seduti davanti al proprio pc, che credo venga accettato nel 98% dei casi. Il nostro non e’ un Paese che regala immigrazione clandestina selvaggia all’America: la stragrande maggioranza di noi torna indietro, al proprio lavoro e alla propria casa di proprietà pagata cara e ben fatta.

Ascoltare le storie delle famiglie delle mie colleghe di lavoro mi fa capire quanto siamo fortunati noi Italiani, e quanto lo sono anche loro che nonostante tutto sono qui, hanno un lavoro ben retribuito, hanno costruito una famiglia e sono felici. E possono decidere di richiamare le famiglie di origine con la green card e portarle vicino a loro per dargli benessere, o semplicemente pagargli un biglietto aereo per una vacanza che passeranno con la bocca spalancata.

Li vedo nei supermercati.


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7 commenti

  1. Pure qua in Spagna ho sentito le storie di immigrazione più difficili: un’amica mia ecuadoriana è rimasta incinta a 16 anni e con un passaporto falso ( della cugina) è entrata qua. La cugina aveva denunciato la perdita del passaporto a Barcellona e invece gliela aveva spedito per posta per far venire qua la cuginetta. Che quindi poi è rimasta illegalmente per anni, pur crescendo suo figlio,nato qua. Grazie a suo figlio non è stata mai espulsa e figurati che era totalmente sola. Ora a distanza di quasi 10 anni si è sposata con un bravissimo ragazzo,lavora finalmente in regola dopo anni lavorando in nero…che coraggiosa. Poi guardo me, che mi sento una sopravvissuta per essere venuta dall’Italia e la mia immigrazione sembra una vacanza…..

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    • A me basta leggere le avventure da pelo sullo stomaco di altri italiani in America… sfidano leggi e pericoli, e davvero anche io mi sento una privilegiata (mai detto di non esserlo, comunque :D)

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  2. Tante volte non abbiamo nemmeno idea di quali drammi possano consumarsi appena fuori dalla nostra porta di casa, figuriamoci se ci immaginiamo come può essere la vita in altri paesi. Abbiamo tutti i mezzi di informazione, questi racconti arrivano nelle nostre case, ma li viviamo con tanto distacco, come se ci stessero raccontando una favola.
    Noi possiamo cambiare canale e spesso lo facciamo. C’è chi non può farlo.

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  3. […] Per prima cosa la ufficiale rivede le risposte alla mia domanda di naturalizzazione, mi chiede conferma di dove vivo, dove lavoro, di che cosa mi occupo nello specifico. Mi chiede del mio divorzio. Mi fa notare che l’altezza che ho indicato sulla domanda e quella che c’e’ sulla patente non corrispondono, e non me ne ero mai accorta! Mi chiede quanti viaggi ho fatto fuori dagli Stati Uniti, controlla le date sul passaporto (manca un timbro, l’ultimo!), mi chiede se quella volta che rientrai dall’Italia l’intervista di secondo grado fu dura o meno. Rispondo serenamente a tutto, come sempre e’ una chiacchierata e non un interrogatorio. Poi di nuovo chiede conferma se abbia mai fatto parte del partito comunista, se abbia mai venduto armi illegalmente, se sia mai stata in carcere o abbia mai favorito la prostituzione. Domande forse assurde per chi viene da un paese ricco come l’Italia, piu’ ovvie per cittadini di altri paesi. […]

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