Associazioni studentesche – a proposito di public speaking

Ho partecipato ad un evento universitario per promuovere la presenza femminile nella facolta’ di Ingegneria, e sono rimasta assolutamente sbalordita dall’organizzazione Americana. Innanzitutto ho capito tante cose su cosa significhi essere uno studente universitario negli Stati Uniti, e di quanto sia profondamente diverso che in Italia.

Da noi si tende ad essere abbastanza passivi, e la relazione col professore e’ basata su una distanza gerarchica piuttosto rigida. La mia carriera universitaria e’ stata brillante ma nell’ombra, e una volta che mi sono trovata alle porte della vita vera, quella lavorativa, ci ho messo davvero tanto a trovare il coraggio di promuovermi. E’ troppa la distanza (o forse non e’ piu’ cosi’, non ho idea) tra lo studente a tempo pieno e il mondo del lavoro.

Le ragazze invitate all’evento erano presidenti di associazioni studentesche (non le sororities ma branche locali di vere e proprie associazioni nazionali) e hanno spiegato il motivo dell’importanza dell’aderire ai loro club: innanzitutto per creare una connessione con altri studenti per potersi aiutare reciprocamente, sia per gli esami che una volta iniziato a lavorare, e poi per avere un collegamento con realta’ lavorative esterne. Fare parte di una associazione significa poter valorizzare le proprie capacita’ e creare una rete di contatti utili nel presente e nel futuro, quando si avra’ poi bisogno di cercare un lavoro. Tutte le oratrici hanno sottolineato l’importanza di aderire ad una associazione professionale, non necessariamente la loro, ma di sceglierne una. D’altronde chiunque sia iscritto a LinkedIn e ne faccia un uso serio sa di cosa parlo.

Costruire una relazione professionale con altri colleghi significa anche poter avere una pacca sulla spalla e un consiglio su come risolvere un problema con un progetto o un finanziamento che non vengono accettati; in futuro potra’ invece essere utile ricontattare quel collega che lavorava su un certo progetto col quale si potrebbe collaborare.

www.hayfield.k12.mn.us/speech/
www.hayfield.k12.mn.us/speech/

Ma la cosa che piu’ mi ha sorpresa di questo evento e’ stata la capacita’ di queste ragazze poco piu’ che ventenni di parlare in pubblico. Spigliate, sicure di se’, motivatrici, non hanno sbagliato uno speech. Ognuna aveva trovato la sua formula personale per aprire il discorso con un attention grabber, strutturare il discorso senza inutili digressioni, aggiungere dei dettagli personali e dare una conclusione con un messaggio al pubblico – how to inspire.

Qui in America ci si esercita al public speaking fin dalla scuola dell’obbligo, e la pratica negli anni aiuta tantissimo a ridurre l’ansia. Certamente la personalita’ incide molto, ma essere abituati a dare speech davanti alla propria classe (vi assicuro che e’ frustrantissimo) migliora le proprie capacita’ oratorie. Io stessa nel mio lavoro parlavo spesso in pubblico, all’inizio me la facevo sotto ma dopo 4-5 volte avevo acquistato una buona sicurezza, e non avevo piu’ quel disagio che avvertivo all’inizio. Spesso la mia formula era dare un taglio personale al racconto, perche’ la struttura narrativa e’ fondamentale.

Esistono tantissimi siti in inglese che insegnano a vincere la timidezza del parlare in pubblico, quello che tutti raccomandano e’ di strutturare lo scritto in modo molto preciso ed esercitarsi tantissimo. Anche Spora ha appena pubblicato un post. Per le mie esperienze qui in Usa potete anche leggere

Autodisvelamento

Esprimere opinioni

Esprimere opinioni #2

The great debaters

Sarebbe bello se le scuole italiane insegnassero a scrivere e a parlare in pubblico in modo strutturato. Per le associazioni studentesche credo invece debba completamente cambiare la nostra cultura, ma se posso darvi un consiglio, lavorate fin da adolescenti durante l’estate. Guardate bambini, lavate macchine, passeggiate i cani, servite bibite, fate qualcosa. Tutte le mie amiche che avevano lavorato in adolescenza avevano sviluppato una maggiore sicurezza in loro stesse, e avevano ottenuto lavori migliori una volta terminati gi studi. Noialtri impegnati solo a prendere 30 e lode poi non sapevamo davvero da che parte iniziare per cominciare a vivere.


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7 commenti

  1. Hai perfettamente ragione, io credo che in Italia lo studio sia inteso troppo come una cosa da fare “a tempo pieno”, se riesci ad avere un po’ di tempo per fare altro allora sicuramente non fai abbastanza, secondo i prof, e quindi finisce che magari hai preso una miriade di 30 e lode e poi a lavoro ti trovi in seria difficoltà. Per i public speech ammetto di essere per prima in enorme difficoltà a parlare in pubblico, mentre da piccola non lo ero, chissà perché. Lavorando con gli americani molto a stretto contatto credo che entrambi avremmo da imparare moltissimo gli uni dagli altri (un esempio stupido, un mega capo della mia multinazionale, capo tecnico, attenzione, che con me ha ammesso candidamente di aver solo giocato a football, all’università, e di avere la sua posizione prestigiosa perché giocare a football intensamente ti prepara a qualunque lavoro (????), un paio di mesi fa si è impuntato su una decisione tecnica, immotivatamente, che costerà circa 3 milioni di euro, per dire). Insomma c’è tanto margine di miglioramento, da ambedue le parti!

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  2. In Italia c’è un tipico gap: brillantissime a scuola in quanto a voti e stima degli insegnanti e poi nella vita una fatica pazzesca, non solo o non tanto a parlare in pubblico che comunque è un esempio assai calzante ma in qualche modo a farsi valere.

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  3. Trovai un libro interessante sul parlare in pubblico ma non l ho preso e me ne pento, io sono pessima anche con soli tre interlocutori, e se uno è mio figlio vado in ansia…anche nella antichità si prediligeva l ars oratoria, in Italia invece si educa al silenzio o all auto esaltazione senza contenuto pratico. Si a Disneyland di los Angeles mi chiesero cifre alte puoi vedere il sito del California disney

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    • L’ansia prendeva pure a me… e’ davvero questione di pratica, credimi. Piu’ ne fai, piu’ ti abitui. Certo non ho mai fatto la relatrice per un congresso, quello mi metterebbe nel panico!

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